GRAND HOTEL: Stefania non ha voluto rassegnarsi a una vita da invalida

Grazie a Internet si é salvata dal male che l’aveva colpita

Ciò che mi ha sempre sorretto é stata la fiducia nella Provvidenza, la capacità di non abbattermi e di trovare il lato positivo in tutte le cose. Infatti il 12 luglio parto per le montagne del Perù. E aspetto d’incontrare il vero amore, l’uomo della mia vita» dice Stefania Vanini, trentacinquenne miracolata dal proprio coraggio e dal Caso. Oltre che dal Padre Eterno, come lei crede fermamente.

A Stefania, nel 1979, quando aveva undici anni, fu fatta una diagnosi atroce: atassia. Una malattia che l’ha costretta a usare la sedia a rotelle fino a due anni fa quando, navigando su Internet, ha scoperto da sola che la sua lunga prigionia nella sofferenza dipendeva da una diagnosi sbagliata. Tornata dai medici, ha chiesto un esame del DNA, che ha confermato la sua intuizione.

Ora Stefania fa trekking nel Nepal. «Non ero proprio del tutto immobilizzata», ci dice. «Ma la malattia
peggiorava con il passare delle ore. La mattina, quando mi alzavo, ero in grado di compiere qualche passo, poi nel corso della giornata poco alla volta perdevo forza e dovevo ricorrere alla sedia a rotelle. La odiavo con tutte le mie forze e non riuscivo ad accettarmi».

Una vita vissuta nei gironi dell’inferno, fin da bambina: dalla vergogna di quando aspettava ogni giorno che la classe si svuotasse prima di cercare di camminare facendo pochi centimetri alla volta, al desiderio di non uscire più di casa. Le risate dei suoi compagni alle scuole superiori, il tentativo di nascondere la sedia a rotelle nelle foto di gruppo, la malagrazia di albergatori che la rifiutavano se la vedevano camminare tutta storta, prendendola per drogata.

Stefania vive a Baceno, 954 anime a venti chilometri da Domodossola, aria frizzante di montagna. Ricorda quando da bambina, muoveva i primi faticosissimi passi sulle punte, tutta piegata sulla destra: andava avanti e poi doveva tornare indietro, come i gamberi. I medici delle vallata non capivano e non sapevano spiegare la
misteriosa malattia. Finché é ricoverata all’Istituto Neurologico Besta di Milano dove le viene diagnosticata una sospetta atassia spastica familiare. Le previsioni sul progredire del male sono tragiche. I nervi si sarebbero contratti fino ad arrivare alla immobilita totale, dicono ai suoi genitori.

Un’ agghiacciante condanna. Una notizia che fa rabbrividire i suoi familiari. «Passavo la giornata a guardare partite di calcio. Non ce l’avrei mai fatta da sola se gli amici veri non lo avessero capito e se non mi avessero obbligata ad uscire dal mio isolamento. Mi accompagnavano dappertutto, a scuola, in discoteca, in viaggio». Che Stefania fosse una che non si arrendeva lo si é visto subito: dalla determinazione di allenarsi giorno dopo giorno per partecipare ai giochi per disabili in tre specialità, lancio del peso, del giavellotto e del disco. Al fare
viaggi in Egitto, in Norvegia, in California. Riuscì anche a diplomarsi e a trovare un posto in Comune con un contratto part- time.

Poi un giorno, navigando su Internet, l’incredibile scoperta. «Mi sono imbattuta in un sito che parlava della mia malattia e con sgomento mi sono resa conto che i sintomi erano completamente differenti e che un esame del DNA avrebbe consentito di risalire alle origini del mio male».

Cosi, nel 2000, si ripresenta all’ospedale Besta di Milano e incontra la neurologa Paola Soliveri alla quale
chiede di poter essere sottoposta a quell’esame che vent’ anni prima non esisteva. La dottoressa prende a cuore il suo caso, ma le spiega che gli esami sul DNA sono molto complessi e lunghi e che la diagnosi sarebbe arrivata dopo parecchio tempo. «Sono stati terribili quegli ultimi mesi di attesa. Alla fine ho chiamato io stessa la dot-
toressa, che mi ha detto: “Sei positiva alla “distonia responsiva alla levodopa”. La tua malattia é un morbo raro ma curabile con lo stesso farmaco del Parkinson, il madopar. Puoi migliorare ».

E’ bastata una pastiglia, per rinascere. «Ho provato una sensazione incredibile. Solo qualche ora dopo aver preso il farmaco, ricominciavo a camminare. Mi era parso un sogno, temevo di dovermi risvegliare». Sette mesi di fisioterapia per riabituare i muscoli poi Stefania realizza i suoi grandi sogni: un trekking in Nepal e due settimane da volontaria in Kosovo.

Ora ha in programma un viaggio sulle montagne del Perù. Ha dell’eroico la storia di questa ragazza
ostinata che non ha voluto arrendersi a una diagnosi sbagliata.

Paola Foti