Da OGGI Magazine: Mi sono curata da sola e adesso cammino di nuovo

Vent’anni vissuti sulla sedia a rotelle. Ma un giorno Stefania scopre che la sua malattia non corrisponde affatto alle descrizioni trovate su Internet. Chiede ai medici: «Fatemi l’esame del Dna. Il mio male é un altro». Aveva ragione: é bastata una pastiglia per guarire. Del tutto.

Federico Ungaro, Baceno (Verbania)

Per 23 anni su una sedia a rotelle, camminando poco e male. E poi la scoperta che la sua malattia era un’altra e che con un farmaco poteva avere una vita del tutto normale.

Detto cosi potrebbe sembrare l’ennesimo caso di malasanita’: una diagnosi sbagliata e una vita d’inferno.  E invece no: quanto successo a Stefania Vanini, che oggi ha 35 anni, e’ l’esempio di dove é arrivata oggi la medicina e delle possibilita’ che si aprono grazie alle analisi genetiche.

All’ eta’ di 9 anni, la vita di Stefania, che vive in un paesino delle montagne piemontesi (Baceno in provincia di Verbania), sembra cambiare completamente e per sempre.
La diagnosi degli esperti dell’Istituto Besta di Milano é agghiacciante: «Sospetta atassia spastica familiare». Spiegata in parole povere, significa: difficolta di movimento che s’aggraveranno nel tempo, fino a impedire di camminare e all’immobilita totale.

La malattia comporta una degenerazione del midollo spinale e del cervelletto.  Il risultato e’ la difficolta’ di coordinare i movimenti.

Ci possono essere anche disturbi del linguaggio e l’epilessia. I genitori di Stefania non s’arrendono e la portano in altri istituti, ma la risposta e’ sempre la stessa, anche se i sintomi provati dalla ragazza non sono poi esattamente quelli previsti dalla casistica.

Purtroppo all’epoca la sua vera malattia, la «distonia responsiva della levodopa», era stata descritta solo in Giappone, e ancora non era molto conosciuta in Occidente. In questo caso un disturbo del movimento non degenerativo, con contrazioni muscolari prolungate e dolorose, la cui intensità varia nel corso della giornata.

La causa é un gene di cui sono state individuate diverse mutazioni.

Per Stefania il momento é difficile: alle superiori non riusciva ad accettarsi, rimaneva in casa a guardare la Tv. Gli amici l’hanno aiutata a non chiudersi troppo in se stessa. E lei ha riguadagnato a poco a poco la sua determinazione, che l’ha portata a partecipare ai giochi per disabili e ad allenarsi in tre specialità diverse: lancio del peso, del giavellotto e del disco. Poi i viaggi, in Norvegia, in Egitto, in California e in Kenya. «Il viaggio qui», ricorda oggi Stefania, «mi é sempre rimasto impresso, perché mangiavo molti legumi e mi sembrava di camminare meglio. Pensavo che fosse il clima, il caldo, ho pensato anche di potermi trasferire a vivere laggiú, visto che stavo meglio».

Infine, anche tra le montagne della Val D’Ossola, arriva Internet. Stefania, sempre in cerca di nuove informazioni sul suo male, inizia a navigare in rete e scopre questa nuova malattia e la possibilità di ricorrere all’analisi del Dna. Una speranza che 20 anni prima nemmeno esisteva.

A 30 anni, nel 2000, torna al Besta e si sottopone all’analisi genetica. Servono due anni prima di avere i risultati. Quando arrivano, la neurologa Paola Soliveri si presenta con diagnosi e cura. La malattia é appunto la «distonia responsiva della levodopa», di cui da pochi anni si conosce la mutazione genetica che la causa. La cura é un farmaco usato anche per combattere il Parkinson, il «madopar».

Bastano pochi giorni di terapia e Stefania può camminare senza bisogno di appoggiarsi agli altri o di sostenersi al muro.

La prima cosa che fa e’ camminare sulle montagne della Val D’Ossola, dopo però un periodo di riabilitazione e fisioterapia necessario per farle assumere nuovamente la postura corretta. E adesso a luglio partirà per il Peru’, con una organizzazione non governativa, per aiutare per qualche settimana le popolazioni del Paese latinoamericano. «Un’esperienza che ho gia provato in Kosovo e che mi ha dato una grandissima soddisfazione», dice Stefania.

«La mutazione genetica», spiega la dottoressa Soliveri, «agisce riducendo la presenza di dopamina nel cervello. Per questo forse il viaggio in Kenya era risultato cosi salutare, visto che i legumi sono ricchi di dopamina e in particolare le fave. Anche se non bisogna dimenticare che la malattia non ha un andamento costante e che in certe situazioni si può stare meglio che in altre».

«Quanto é successo a Stefania, per noi e’ un fatto comune»

Ci Sono molti pazienti, magari non in condizioni cosi gravi come quelle della giovane, colpiti comunque da una distonia muscolare, che sottoponiamo a una terapia preliminare a base di dopamina. E molte volte i risultati sono positivi», sottolinea l’esperta. «Vent’anni fa non si conosceva la malattia, non c’era l’analisi genetica che avrebbe potuto confermare una eventuale diagnosi basata sulla descrizione dei sintomi. E non si sapeva come curarla».

Quello di Stefania non é un caso di malasanità.

Ma gli ultimi dati del rapporto Piú Salute del Tribunale dei diritti del malato dicono che nel 2004 le segnalazioni dei cittadini relative a problemi sul fronte della diagnosi e della terapia sono state il 30.8 per cento del totale, Circa il 3.2 per cento di queste segnalazioni é relativo agli errori di diagnosi.

Nel campo della neurologia, invece, sono circa il 3 per cento. «E possibile avere un risarcimento danni in caso di errata diagnosi», spiega Stefano Inglese, segretario nazionale del Tribunale dei diritti del Malato-cittadinanza attiva. «L’importante e’ che il cittadino sia in grado di documentare tutto l’iter diagnostico e terapeutico attraverso i certificati e le perizie di parte. In ogni caso, quello che io consiglio a ogni cittadino é chiedere sempre un secondo parere, anche nel caso in cui la diagnosi venga da un centro di eccellenza».